By, Brassai |
Si passa un’infinità del nostro tempo, che di infinito non
ha che il suffisso, a pensare l’impensabile, comprendere l’incomprensibile e
sondare l’insondabile.
O meglio, alcuni lo fanno, altri pensano non ne valga la pena, qualcuno lo vive
così, con un’idea precisa del Nulla e quindi, probabilmente, in grado di
spiegare il Tutto.
Tra schiavi del pensiero positivo e addetti ai livori, si affibbiano etichette tanto colorate quanto un foglio scarabocchiato con pastelli a cera, utili come fare indovinelli sulla luna e imprigionarla in un cerchio di dita, sapendo che solo pochi potranno toccarla davvero.
Un costante e sfiancante affaccendarsi, in subordinazione di una divinità che
vuole tutti succubi e che porta il nome di Fatica.
Questo continuo faticare di gesti impetuosi o parsimoniosi, di parole non dette e di altre pronunciate troppo velocemente, di gabbie di rapporti, di giochi di dispiacere, di formule formali, di ansie tenute al guinzaglio, di altre lanciate allo sbaraglio.
Una moltitudine di esseri che ogni giorno saluta il mattino sapendo per certo
di fare fatica e più nessuno capace di spendersi invece, verso il nobile ma
altrettanto dimenticato fratello minore della suddetta: l’impegno.
Che impegnarsi vuol dire mettersi dentro qualsiasi sorpresa, seppur sgradita, riservi il vivere ma vuol dire anche concedersi il lusso, che odora più di diritto, di chiamarsi fuori senza rimorso dalle stesse.
Che impegnarsi vuol dire semplicemente vivere da protagonisti, senza il bisogno
di sbandierarlo, vivere da partecipanti, senza lo spettro di vittorie o
sconfitte, che impegnarsi vuol dire fortunatamente smettere di fatica e avere
un pegno, soltanto, con la vita.
EtienneKuntz
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