By, Luigi Vegini |
E poi ti ritrovi a parlare sempre delle
cose che perdi, nell'assoluta incapacità, divenuta ormai pratica
rodata, di dare il benché minimo valore a quanto, anche solo per il
frangente di un istante, pare poter appartenere.
Un presente eternamente insoddisfatto,
troppo preso dal guardare con trasognante malinconia al passato o con
un altrettanto futile slancio idealizzante al futuro.
In quel adesso dove anche il tempo per
le promesse non mantenute sembra essere finito.
E gli occhi, addomesticati da una
penombra crepuscolare dove gli inganni si offuscano, non trovano modo
di riconoscere la luce e, quasi, iniziano a provare un fastidio
antico, quello rivolto al ricordo della felicità che per lunghe
stagioni non speravi più di poter avere.
Che il premio di consolazione dei cuori
infranti, sta nell'irripetibile; ogni frattura si culla nella pavida
certezza di non poter replicare, che ad infrangersi di nuovo vi
saranno altri traumi e dolori, ma mai, mai più, l'impatto devastante
della prima e, inconsapevole volta.
E scatta il ricatto di quell'essere
demoniaco che trova spazio nel buco nero tra stomaco e cuore.
Senza dare accenno al suo richiamo,
varrebbe la pena smettere di vivere; tanta inutilità avrebbe il
vivere stesso, per contro, dandogli ancora una volta ascolto i danni
potrebbero portare inedite e letali sconfitte.
E sta tutto lì, nella guerra fredda o
peggio, lasciata raffreddare, nel meschino sospeso del mai -
dichiarato, nel crimine perpetrato in tempo di pace.
Sul fondo dell'oceano della
residualità, tra colpe tramandate e responsabilità imposte, conta
solo sapere cosa tiene lontani.
EtienneKuntz
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