martedì 29 aprile 2014

Il crimine di pace

By, Luigi Vegini
E poi ti ritrovi a parlare sempre delle cose che perdi, nell'assoluta incapacità, divenuta ormai pratica rodata, di dare il benché minimo valore a quanto, anche solo per il frangente di un istante, pare poter appartenere.
Un presente eternamente insoddisfatto, troppo preso dal guardare con trasognante malinconia al passato o con un altrettanto futile slancio idealizzante al futuro.

In quel adesso dove anche il tempo per le promesse non mantenute sembra essere finito.

E gli occhi, addomesticati da una penombra crepuscolare dove gli inganni si offuscano, non trovano modo di riconoscere la luce e, quasi, iniziano a provare un fastidio antico, quello rivolto al ricordo della felicità che per lunghe stagioni non speravi più di poter avere.


Che il premio di consolazione dei cuori infranti, sta nell'irripetibile; ogni frattura si culla nella pavida certezza di non poter replicare, che ad infrangersi di nuovo vi saranno altri traumi e dolori, ma mai, mai più, l'impatto devastante della prima e, inconsapevole volta.

E scatta il ricatto di quell'essere demoniaco che trova spazio nel buco nero tra stomaco e cuore.
Senza dare accenno al suo richiamo, varrebbe la pena smettere di vivere; tanta inutilità avrebbe il vivere stesso, per contro, dandogli ancora una volta ascolto i danni potrebbero portare inedite e letali sconfitte.

E sta tutto lì, nella guerra fredda o peggio, lasciata raffreddare, nel meschino sospeso del mai - dichiarato, nel crimine perpetrato in tempo di pace.


Sul fondo dell'oceano della residualità, tra colpe tramandate e responsabilità imposte, conta solo sapere cosa tiene lontani.

EtienneKuntz

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