sabato 17 maggio 2014

L'arte della pazienza

By, Bert Hardy
Secoli silenti, stagioni burrascose, istanti dirompenti.
Ogni forma temporale era passata, trascorsa, vissuta, senza che si capisse davvero il valore della pazienza.
Che c'era da sbuffare in faccia ai motti popolari e ai finti custodi della calma sociale che si ripetevano in sterili e altrettanto gratuiti consigli non richiesti, elogi non cercati dell'antica virtù.
Era il caso invece di assimilarla, di sentirla propria, su ogni centimetro di pelle martoriata, in ogni angolo, anche il più remoto, di quell'animo che non si smetteva mai di conoscere.



C'era voluta una coatta imposizione, una violenta stasi, una ferma costrizione per capire davvero quel valore.
Erano serviti i chilometri percorsi con troppa foga, bruciando i tempi, anticipando il ciclo armonico delle cose.
Era corso ed accorso un saggio dai monti per spiegare con la semplicità dei concetti complessi fatti propri e mai ostentati, quanto la pazienza non fosse una forzatura, bensì una liberazione.
“Non esiste solo il fiume impetuoso o lo stagno raffermo. C'è anche lo scorrere piano, del ruscello che sa di arrivare”.

C'era da nascondere il rossore per la gioia di una verità donata senza indugio, con quello del vino che affiorava sul volto.

“Il bello dell'amore è il conforto che dà. Anche se non reciproco, anche se non corrisposto in egual misura, anche se tutti gli anche se che si possono razionalmente concepire”.

E il conforto per il cuore, per le veglie insonni e per quei lunghi attimi vuoti lasciati nella notte del bar stava proprio lì; nel poterlo provare ancora, anche solo nel ricordo o nell'idea, anche per qualcuno di appena sfiorato, intravisto, immaginato.
Stava lì, nel fatto che potesse accadere.
Di nuovo.


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