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Sta tutto lì.
Nell’antica lotta tra necessità e libertà.
Nella faida intestina che da sempre dà vampate di colore al
tuo animo in escandescenza, arrotolato in quella consapevolezza già reale
ancora prima che diventasse tale anche solo la parola.
Perso, ma mai perduto, nel costante nostos, nelle dodici
tappe che non hanno mai fine, ritenendoti savio nell’accarezzare i lembi della
follia, sempiterno colpevole di un’emanazione che non hai scelto di avere, che
non hai smaniato per ottenere, che ti vedi costretto a portare.
Invidiato e adorato, patito e compatito, bramato e
scacciato, con salti oceanici che dettagliano i contorni di un isolamento
indispensabile, di una dannazione che non conosce salvezza, costretto all’errare
perennemente in situazioni improbabili, al fine che restino impossibili.
Il fulcro della tragedia non cambia nelle odissee dei
moderni Ulisse, mutano i nomi e i volti delle Calipso, delle Circe, delle
Nausicaa che ti stregheranno, imprigioneranno, ameranno, uccideranno. Cambiano
le fattezze dell’equipaggio che ti detesterà ma non potrà fare a meno di
seguirti, che vedrai decimare, che non potrai salvare.
Ma non vi sarà nessuna Itaca, alcuna dimora benedetta a cui
tornare, nessuna terra salvifica da baciare, da ringraziare, finalmente, col
capo chino.
I moderni Ulisse vivranno il proprio tormentato viaggio con
la violenta passione per i ricordi non vissuti, non sapranno mai dell’esistenza
l’uno dell’altro, del diverso tra i diversi, sfiorandosi appena, forse, per le
beffe del fato.
E si disperderanno nel nebuloso epos contemporaneo, donando
appena qualche aneddoto da raccontare nella lunga notte del bar.
EtienneKuntz
EtienneKuntz
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