By, Bert Hardy |
C’era quella estiva che non cedeva alla freddura neanche per errore.
Che ti invitava a stare con lei ancora, ancora e ancora, come una giovane e voluttuosa amante.
C’era quella dalle tinte invernali, che ti schiaffeggiava il volto solo ad affacciarti da una qualsivoglia finestra, che ti parlava tutta del rischio nel quale saresti incappato nell’intrattenerti con lei, anche solo per qualcosa in più di meno di pochi istanti.
C’era quella più inconsistente, persa tra un cielo opaco e
un clima ibrido, c’era quella fragrante, con odori intinti di nostalgia in ogni
dove.
C’era che c’era la
Notte, femminilità bramata, corteggiata, sfiorata e mai
raggiunta.
La Notte,
capace di spingerti a non uscire da un covo sicuro, e altrettanto forte da trascinarti
per mano fino a vedere cosa si sarebbe inventato il giorno, ancora una volta.
C’era che la
Notte, in ogni sua veste, attraverso ogni sua forma, era in
grado, a un certo punto e senza preavviso, di presentarti il conto dei tuoi
pensieri.
Di scovare l’esatto istante nel quale il termine "solitudine" non descriveva a sufficienza il sentirti solo con te stesso.
L’antica malia della Notte ti rimetteva con un solo cenno al
tuo posto, quale infinita parte di un Tutto, che neppure in diciassettemila
vita avresti mai compreso sul Serio.
C’era da rendere grazie alla Notte, per l’ennesima lezione
impartita e, ancora da invocare l’abbraccio del Giorno, chiedendo scusa,
auspicandosi di avere ancora e, sempre più, la possibilità di imparare.
EtienneKuntz
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