By, Werner Bischof |
Si creava un fare allucinante nello stomaco. Forse erano le
birre, forse era l’alimentazione del tutto casuale, forse era il tramestio
interiore.
In ogni caso era sempre lo stomaco a farne le spese.
Un po’ come quando il carnefice non sapeva di essere anche
vittima.
Che poi forse quest’ultima cosa non è che contasse poi
molto.
Era poco sopra, in quella zona non meglio specificata che
distava un soffio dallo stomaco e altrettanto dal cuore, era una zona d’ombra,
una stanza oscura, un buco nero tra i due interlocutori.
Che sapevano spesse volte dialogare bene.
E con parole fiammanti, ficcanti e furenti, lasciare la
ragione piangente e gemente, in un angolo, zitta, in castigo.
In quel pozzo cupo, nel centro del ventre, si annidava
l’istinto.
Un fare che non sapeva mai dire basta, che toccava appena e
ancora si spingeva verso oltre, verso altro.
L’istinto non conosceva il concetto di "abbastanza".
-
Me ne fai un’altra? –
Della birra non rimaneva che un goccio e, l’ultima sorsata,
aveva anche tolto il bicchiere dall’indugio di domandarsi ancora sulla propria
utilità.
-
Ma non hai bevuto abbastanza? –
No.
No che non era abbastanza. Non avevo mai bevuto abbastanza,
non avevo mai creduto, sperato, goduto, voluto, invocato, confidato, sofferto,
cercato, amato.
Non era mai abbastanza, c’era sempre un nuovo limite, ancora
una soglia da varcare, un rischio da correre.
Ma non era il caso di spiegare.
Era invece il caso di pagare senza ritirare il resto e
uscire nella notte di Novembre.
Anche il freddo non voleva saperne di dire abbastanza,
perché mai avrei dovuto farlo io.
Etienne Kuntz
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